Non si può fare a meno di creare.
Chi ce l’ha come professione o come passione non può fermare il proprio flusso creativo. Anche una cazzata va fatta. Scritta. Abbozzata. Disegnata. Scolpita alla buona. Qualcosa di quell’idea e quel sentimento deve rimanere.
Ma come allora affermarsi?
Creare qualcosa di incompleto ci rende artisti completi. Vivi. Gli sgorbi ingiudicabili, le parole illeggibili, le creazioni morte sul nascere hanno ragione di esistere per quel che sono: forme di espressione.
Il lavoro completo, così come ce lo immaginiamo, davanti a un pubblico pagante e standard fa paura. Butta indietro. L’autogiudizio. Il lavoro enorme da capo a piedi spacca il cervello.
Le mezze idee invece vengono liberate. Addio. Non torneranno. Non ronzeranno in testa. Forse sì, ma allora vorrà dire che valgono la pena essere lavorate e raffinate. Forse meritano di più.
Senza lo sgorbio iniziale non lo sapremo mai.
Tutta roba che un giorno servirà, diciamo. O forse è già servita, ma senza andarla a cercare tra gli appunti. Era lì, con noi, nella mente e nel cuore. In una tasca nascosta ce le portiamo addosso ma senza peso. Così non fosse staremmo a pensarle tutto il tempo.
Invece. Bisogna assumere che è un vuoto a perdere. Raramente a rendere. Cioè bisogna rendersi conto che la maggior parte delle idee sono di merda. E per fortuna che vengono buttate fuori. Così vanno a concimare le buone idee.
Ci dicono i guru del coaching che le persone sane fanno progetti. Ma voi sapete gli artisti quante idee avrebbero da mettere in produzione. Eppure si fa meno di quel che di vorrebbe. Per trovare quel che vale la pena va “provato”. Abbozzato. Cantato. Interpretato.
E poi se ci piace e vale la pena: avanti march!